Ho radici frastagliate, io. Un accento strano, difficile da indovinare. Ho rubato la parlata al luogo in cui sono nato, alle città in cui mi sono trasferito, ai miei genitori. Quando mi arrabbio, lo faccio come mamma e papà: in napoletano. La lingua delle parolacce. Del cuore e delle viscere. Si trovano la stessa istintività, la stessa musicalità scassata, nell'esordio di Monica Acito. Un'opera prima che, nel bene e nel male, somiglia alla sua città: Napoli. Generoso, barocco, saturo fino a scoppiare, racco
C'era un punto di non ritorno, al di là dell'invidia, ma a quel punto nessuno ci voleva mai arrivare, perché sotto le crepe dell'invidia c'era una sorgente carsica di amore sconfitto.
Il primogenito, detto Uvaspina, ha una voglia a forma di chicco sul volto e la stessa pelle traslucida di un frutto: sospeso tra i sessi, bellissimo ed efebico, sembra essere della specie dei femminielli o dei semidei. Sua più spietata carnefice, sua boia e liberatrice, è la sorella Minuccia: una giovane dispettosa e imprevedibile, come le eruzioni del Vesuvio, difficile da accasare e da saziare; con la sua fame nervosa, bulimica, divorerebbe anche il sangue del suo sangue. Il destino di Uvaspina, strizzato